Visto che questo bel tremila non “se lo filano”, diamo la sua collocazione geografica, e facciamo un po’ di pubblicita’.
Si trova in Val di Lei, valle italiana (appartene al commune di Piuro), ma laterale della Val d’Avers. E’ conosciuta per il suo bellissimo lago, la diga e le vicissitudini che portarono alla costruzione della diga, allo spostamento dei confini tra Italia e Svizzera per permetterne lo sfruttamento.
E’ una vetta di confine, come il suo vicino (vicinissimo) e ben piu’ blasonato Emet.
Appuntamento annuale con la due giorni in rifugio, quest’anno optiamo per il “servito”, e non l’autogestito, siamo purtroppo solo in tre (su sei), inoltre chef e vice-chef sono acciaccati.
Torniamo alla Baita del Capriolo, ci siamo gia’ stati nel 2010, proprio per tentare la stessa meta, ma meteo particolarmente avverso ci avava fatto desistere, deviando per un giro di traversi.
Questa baita e’ un ristorante con camere/camerate come un rifugio, ma dotato di ogni confort (bagni e doccie), e la cucina merita davvero. La squadra del gestore Valentino Curti, ti mette subito a tuo agio con cortesia e ottimi piatti.
Ci si arriva in auto risalendo la Val d’Avers (uscita autostradale tra Sufers e Andeer), la si risale fino a dopo Innerferrera, deviazione a destra per Val di Lei. A Q1900 si arriva alla galleria con semaforo (aperta dalle 05:00 alle 23:00), lunga poco meno di 1km, ed in breve si raggiunge la diga della Val di Lei. Attraversata la corona della diga si sale sul lato opposto, ritornando in territorio Italiano.
Troviamo una chiesetta, dove una lapide ricorda 10 operai morti durante i lavori di costruzione della diga, a sinistra la strada sterrata (a pagamento) che costeggia per ben 8km il lago, mentre a destra si raggiunge la Baita del Capriolo ( e proseguendo l’Alpe del Crot e l’Alpe Motta, dove termina la strada.
Noi ci fermiamo alla baita del Capriolo, parcheggiamo ed iniziamo la nostra escursione.
Chi ci segue da tempo, sa bene che questa e’ una incompiuta, nel 2010 eravamo qui sempre alla baita del Capriolo e proprio per salire al Palu’, ma il meteo ci aveva bloccati.
Va detto subito, uscendo dalla galleria la possente mole del Piz del la Palu’ e’ proprio davanti a noi, stupenda anche dal parcheggio del rifugio, sembra vicina, ma … l’apparenza inganna.
Qualche numero per rendersi conto: prima di tutto NON ci sono sentieri, la salita e’ ad intuito, poi 3Km e poco piu’ di 1200mt di dislivello, pura e completa salita spaccagambe.
In cammino alle 08:00, il nostro primo tratto e’ leggermente diverso da quello di siso e di StefanP, le lo relazioni sono state la nostra guida.
Non essendoci un sentiero si va un po’ ad intuito e poi il nostro punto di partenza era di poco spostato piu’ a destra, quindi noi non siamo passati dalla chiesetta e dall’ Alpe della Palu’, eravamo gia’ un poco sopra.
Il punto fondamentale invece e’ sapere che la salita dai 2800/2850mt alla cima avviene sulla ben visibile cresta Est.
Dal basso la prima parte e’ su erba e pini, dai 2100/2400 ancora prato e cespugli, qualche breve tratto piano, dove peraltro si trova una zona paludosa, da qui petriesco molto instabile, meglio cercare l’erba anche tra le peitraie.
Poco sopra i 2800mt vi si dirige verso la cresta, qui qualche ometto ci fa capire di essere “in traccia”, anche se di sentiero no se ne parla.
La vetta e’ sempre sopra le nostre teste, ma se alla mattina svettava in un bel cielo blu, ora e’ contronata da nuvolaglia piuttosto minacciosa, eppura hanno dato acqua dopo le 15:00.
Paolo ed Angelo fanno strada, e arrivano in vetta ben 45min prima di me, il mio poco fiato mi obbliga a parecchie soste, soprattutto negli ultimi 200mt, che non finiscono mai.
Loro possono godere del panorama in tutte le direzioni, dal lago dello Spluga, il Bertacchi ed il suo laghetto, tutto il lago di Lei nella sua estensione, il pizzo Stella.
Io arrivo in cima alle 12:30, sono comunque felicissimo di questa mia fatica, ma purtroppo non posso godere del panorama, siamo dentro un nuovolone scuro che non ti fa vedere a 5mt …
Le cime sono due una a 3172 e l’altra a 3179, distante neppure una decina di metri.
Gli ometti di vetta ed i paletti di legno (foto di Siso e Stephan) sono distrutti, Paolo aveva gia’ in programma un’ampia ristrutturazione degli ometti, ma si mette a piovigginare e quasi immediatamente a grandinare.
Fortunatamente poco sotto la vetta c’e’ un anfratto dove riusciamo a ripararci. Si riesce solo a stare seduti senza allungarsi, ed in fila indiana.
Pranziamo cercando di riposare anche se la posizione e’ scomoda, sembriamo tre pipistrelli stretti in una grotta.
La pioggia aumenta, ed iniza a filtrare nella cavita’ dove abbiamo trovato riparo, alle 13:30 decidiamo di scendere, tanto ci bagnamo anche nel riparo.
La discesa ci preoccupa un po’, intendiamoci non c’e mai esposizione, la cresta e’ larghissima, ma gli ultimi 300/400mt di dislivello sono su pietrame che bagnato diventa particolarmente viscido. Bastoncini nello zaino e via, appoggiando le mani dove possibile e qualche volta anche il posteriore.
Quando la pietraia diventa di sassi piu’ piccoli andiamo a cercare i pochi tratti di terriccio, che in salita abbiamo evitato con cura perche’ non tenevano ma ben bagnati fanno presa.
Esce il sole, passiamo da felpa e Kway a manica corta, ci fermiamo spesso sulla cresta a rinforzare i pochi ometti, Paolo ne ha creato uno di dimensioni cospique, sembra di esseere in vetta.
Abbandoniamo la cresta attorno Q2850, come all’andata e tagliamo in diagonale su terreno molto ripido ed erba bagnata.
Nella zona delle paludi, sotto una bastionata rocciosa, ci sono ruscelli ottimi per dissetarsi e per una breve pausa.
Poi riprendiamo la discesa, interminabile, e negli ultimi 200mt ancora sotto la pioggia.
Arriviamo alla Baita del Capriolo, ora possiamo finalmente riposare, fare una doccia e mettere le gambe sotto il tavolo davanti ad una birra, antipasto, pizzoccheri, polenta e brasato, dolce, caffe’ e grappa.
Un premio meritato, non vi pare?
A tavola decidiamo cosa fare il giorno dopo, non se ne parla di farsi altri 1000/1200 di dislivello senza sentiero, ragionando sulla cartina puntiamo a fare il Passo dell’ Angeloga, dopo aver raggiunto la cima del lago in auto, ci permette di capire se le gambe sono di legno, di prendercela piu’ comoda e tornare per pranzo ancora qui al Capriolo.
Ma questa ve la racconto nella prossima relazione.
Vale di Lei – Storia (da Wikipedia):
La valle fu acquistata nel 1462 dal comune di Piuro come territorio di pascolo, seguendone in tutto e per tutto le vicende: come l’intera Valchiavenna fece parte prima del Ducato di Milano, poi della Repubblica delle Tre Leghe per confluire quindi nella Svizzera. Nel 1797 entro’ nella Repubblica Cisalpina, e dopo il Congresso di Vienna, nel Regno Lombardo-Veneto, per finire da ultimo al Regno di Sardegna e quindi al Regno d’Italia[1].
Storicamente la Val di Lei e’ abitata solo da maggio sino ad ottobre: prima della costruzione della diga veniva usata come alpeggio estivo per tutta la propria estensione, mentre dopo il riempimento del bacino (1962) sono rimasti attivi i soli pascoli sui monti circostanti, che consentono comunque un’attivita’ ridotta. Gli unici due insediamenti italiani sono la Baita del Capriolo a Nord e l’Alpe del Nido a Sud. La diga, posta in territorio svizzero, e’ quasi del tutto automatizzata, rendendo eventuale la presenza umana.
Vi e’ una sola strada carrozzabile che giunge in Val di Lei: costruita contemporaneamente alla diga, diparte da Innerferrera (nel comune svizzero di Ferrera) e giunge prima in localita’ Baita del Capriolo, vicino al coronamento dell’impianto idroelettrico per poi, su tracciato sterrato prospiciente il lago, terminare all’Alpe del Nido.
La Val di Lei e’ collegata alle valli adiacenti mediante una fitta rete di sentieri: alla Val Bregaglia (S) tramite la Valle dell’Acquafraggia e il Passo di Lei, alla Valle Spluga (O) tramite il Passo dell’Angeloga (dal Rifugio Chiavenna), alla Val d’Emet (O) tramite il Passo dello Sterla, e alla Val Ferrera (N) grazie al sentiero che risale da Innerferrera.
Per le esigenze del cantiere della diga, nel 1957 vennero costruite e messe in funzione due funivie, ciascuna lunga 15 km: partendo da Campodolcino (localita’ Tini), risalivano la Valle della Rabbiosa per poi entrare in Val di Lei dal Passo di Angeloga. Successivamente alla costruzione della strada carrozzabile, gli impianti di trasporto furono quasi completamente smantellati, lasciando alcuni edifici che fungono da esempio di archeologia industriale.